di Raluca Raksan
Il nome “Manuela Arimburgo” suona familiare a tantissimi studenti ed ex studenti della scuola media Alfieri. Insegnante di francese, preparata e amorevole, ha cresciuto generazioni di ragazzi, che grazie a lei possono contare su una solida conoscenza della lingua francese. La professoressa ha accettato di incontrarci per raccontarsi ai nostri microfoni…
Professoressa, una domanda forse banale: perché ha scelto il francese come lingua da insegnare?
Ai miei tempi si studiava solo francese e così anche io, alle medie, ho fatto solo il francese. Continuando il mio percorso scolastico ho continuato a studiare il francese e mi ci sono affezionata, al punto di decidere di insegnarlo. E poi piace molto di più il francese dell’inglese, che ho iniziato a studiare più tardi e che non mi ha mai entusiasmato…
Le è sempre piaciuto insegnare?
Sì, mi è sempre piaciuto insegnare e volevo già insegnare già da piccola, sognando di farne la mia professione. Sono stata fortunata ad esserci riuscita, perché non tutti se vogliono fare qualcosa riescono a raggiungere l’obiettivo. Insegnare è stata un’avventura meravigliosa: mi è piaciuto molto il contatto con i ragazzi e mi sono sempre trovata bene con i colleghi. Sono stata fortunata.
Come sono cambiati gli studenti nel corso degli anni?
Ho sempre avuto un buon rapporto con i ragazzi. Gli studenti sono un po’ cambiati, proprio come è cambiata la società in cui i ragazzi crescono. Ci sono gli studenti modello che hanno sempre studiato, ma in generale è diminuita la volontà: ho la sensazione che gli studenti studino un po’ meno e che ci sia più maleducazione. Hanno meno rispetto delle regole, degli insegnanti e anche dei compagni. Rispecchiano la società, insomma.
Che sensazioni ha provato l’ultimo giorno di scuola?
Ero triste, molto triste. Mi è dispiaciuto tanto.
A noi può raccontarlo: ha mai avuto una classe preferita?
Dovrei dirti di no, ma ti direi una bugia! C’erano delle classi dove magari mi trovavo meglio, perché anche gli alunni erano più simpatici, e altre in cui insegnare era più difficile. Insomma, anche se non si dovrebbe dire, forse qualche volta è capitato di avere alcune “classi preferite”.
Avrebbe mai voluto insegnare alle scuole superiori?
Sì, ci ho pensato. Adesso forse sono anche un po’ pentita, sarei forse potuta andare alle scuole superiori, solo che poi ho cominciato qui, mi trovavo bene qui, avevo questo ruolo di coordinamento qui e quindi, alla fine, sono rimasta qui. Però ci ho pensato, avrei voluto, anche se mi spaventava un po’ il rapporto con gli alunni più grandi, avevo il timore di non trovarmi subito bene. Ho sentito invece colleghi che erano qui e sono passati ad insegnare alle superiori e si sono trovati molto bene e sono stati contenti.
Cambierebbe qualcosa all’interno della scuola?
All’interno della scuola in generale, sì. Introdurrei lo studio delle lingue straniere fino in quinta superiore, in tutte le scuole. Insomma, non troncherei lo studio delle due lingue straniere alla fine della terza media, perché, secondo me, le lingue straniere sono importantissime da sapere, soprattutto nella società in cui viviamo. All’interno della nostra scuola, invece, tutto sommato non cambierei niente, mi piace.
Pensa che la sua vita sarebbe stata diversa se non avesse insegnato?
Eh sì, probabilmente sì. A dirti la verità, però, non ci ho mai pensato perché a me è sempre piaciuto fare questo lavoro. Anche se di tempo libero non ne avevo tantissimo, oltre alle vacanze. Ma star tra i banchi, con i ragazzi, con i colleghi, mi è sempre piaciuto così tanto che non mi son mai chiesta neppure un “…e se?”.
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